| ~Mena. |
| | Contenta che vi sia piaciuta^^ Ecco il primo capitolo. Leggete e commentate. Capitolo 1 Era il 10 Giugno 1937. Ricordo quel giorno come se fosse ieri e non settantadue anni fa. Mi trovavo nell’auto di mio fratello Chris, mi piacerebbe ricordarne il modello ma ciò non interessava ad una giovane diciassettenne perciò non ne conservo il ricordo, però rimembro senza nessuna difficoltà in che modo avevamo preso posto. Alla guida vi era naturalmente lui, Christopher Everingham, con accanto Annebelle . Sui sedili posteriori sedevamo comode Rosalynde ed io, Belinda. Eravamo i quattro figli di un noto e ricco industriale dell’Inghilterra di allora, Thomas Everingham e della sua bella moglie Vivian. Fra noi Chris era il maggiore, con la sua veneranda età di venticinque anni, e Rose la più giovane con i suoi teneri dodici anni. Anne era più grande di me di soli due anni. Nell’animo, però, ero io la più giovane, posso ammetterlo senza remore , e la meno tranquilla. Mentre le mie due sorelle sedevano composte, le mani poggiate sulle gambe, in una posa statuaria, i capelli perfettamente acconciati sotto i cappelli, discutendo serenamente fra loro e con mio fratello, io avevo messo la testa fuori dal finestrino, lasciando che il vento mi scompigliasse i lunghissimi capelli neri a boccoli e con un sorriso stampato sulle labbra osservando la verde campagna che scorreva davanti i miei occhi. “Belinda, in nome del cielo, entra quella testa!” Sbottò nervosa Anne, voltandosi appena per fissarmi con gli occhi azzurri irati. Il suo rimprovero richiamò su di me gli sguardi azzurri di Chris e Rose, ma mentre quello di mio fratello era divertito, quella della mia sorellina era indispettito quanto quello di Anne. “Dovreste farlo anche voi invece!” Feci ridendo e continuando a bearmi del vento fra i capelli. “Farlo anche noi!” Ribattè prontamente Anne, tornando a fissare davanti a sé. “Hai diciassette anni, Belinda! Dovresti comportarti in modo consono alla tua età.” “Anne, non indurmi ad esprimere ciò che penso riguardo al tuo modo di comportarti se non vuoi cominciare a sbraitare e rovinare così la tua bella maschera di apatia totale.” Chris mal soffocò una risata, Anne mormorò qualcosa su quanto fossi indecente e Rose rimase in silenzio- sospettavo non avesse capito parte del mio discorso. Far innervosire mia sorella era senza dubbio alcuno uno dei miei hobby preferiti e, modestamente, ero bravissima visto e considerato che mi esercitavo costantemente. Anne era sempre stata una di quelle signorine perfettine, la figlia esemplare, la sorella eletta a modello. Davvero non riuscivo però a capire come si potesse rimanere composti dinanzi a un panorama tanto meraviglioso: la strada era costeggiata da prati che ai miei occhi parevano sconfinati, popolati da miliardi di fiori dai mille colori. Un arcobaleno che splendeva dinanzi a me, illuminato da un Sole caldo e rassicurante. Dovetti attendere solo pochi minuti prima che mi si stagliasse davanti la sagoma di una villa enorme, dalle pareti bianche e il tetto nero, con ampie finestre, i vetri delle quali riflettevano la luce del Sole mandando bagliori da tutte le parti. “Guardate!” Urlai ai miei fratelli, puntando il dito verso quel Paradiso. “Sembra bellissima.” Fu il posato commento di Anne. “E’ stupenda!” Feci immediatamente io, sporgendomi ancora di più dal finestrino. “Belinda! Hai deciso di suicidarti oltre che rovinarti i capelli?” Non mi diedi nemmeno la pena di rispondere al rimprovero di Anne: la casa era sempre più vicina, sempre più particolareggiata e sempre più bella. Riuscivo a distinguere un cancello spalancato che dava su un giardino verde. Sempre più impaziente di arrivare, cominciai a incitare mio fratello di andare più veloce. “Sembra di essere a bordo di una lumaca!” Lo provocai, rimanendo sempre per metà fuori dall’auto. Per tutta risposta lui premette sull’acceleratore, facendo urlare le mie due sorelle e scoppiare a ridere me. Attraversato il cancello, trovammo ad attenderci una donna dai capelli neri intrappolati come quelli di Anne e Rose in un cappello arricchito da fiori finti e un cipiglio arrabbiato, che accrebbe quando vide la sottoscritta praticamente già fuori dalla macchina. “Belinda ti sembra il modo di comportarsi consono ad una ragazza come te?” Mi rimproverò mentre scendevo dalla macchina con un sorriso a trentadue denti stampato in volto. “Mamma, sai che mi piace il vento fra i capelli!” Lo sapeva e, cosa molto più importante, mi capiva perché lei come me avrebbe voluto sentire i capelli danzare col vento, urlando al cielo, alla Terra, ridendo spensierata. Non poteva farlo. Doveva anche lei indossare la maschera adatta e recitare la sua parte nel mondo. Ma i suoi occhi, i miei stessi occhi ambrati, erano lo specchio della sua anima, e in quel momento sorridevano guardando una ragazza che non si era ancora rassegnata a darla vinta agli altri e perdere se stessa. “Ho provato a farla ragionare, ma è terribilmente testarda! Temo sia un caso irrecuperabile.” Evidentemente Anne sentiva dentro il bisogno di giustificarsi dinanzi a nostra madre per il mio comportamento. “Sta tranquilla, Anne. So che la nostra Belinda è un caso più unico che raro.” Lo disse con un tono dolce, per niente arrabbiato, ma piuttosto sembrava rimpiangere che fossi un caso tanto unico. Dopo averle rivolto un sorriso, cominciai a guardarmi intorno, estraniandomi completamente dai loro discorsi. Il giardino era ancora più bello di quanto avessi potuto immaginare osservandolo da lontano. Il prato era di un verde tanto brillante da farlo sembrare irreale, costeggiato da fiori dei quali purtroppo non ricordo il nome, con cespugli di rose che sorgevano sparsi, ma ben curati. La cosa più straordinaria era però un laghetto dalle acque cristalline a poca distanza dal quale vi erano tre panche di legno finemente lavorato, adombrate dai rami di un enorme salice piangente. “Ti piace?” Annuii, senza riuscire a staccare gli occhi da quell’angolo di Paradiso. Chris scoppiò a ridere. “Sorellina hai davvero un’espressione ridicola!” Strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca imitandomi, e si beccò un colpo sulla spalla. Senza smettere di ridere, lanciò una fugace occhiata alla casa e poi a me. “Fossi in te andrei dentro a litigare per la stanza. A quanto ho capito le nostre due sorelle desiderano le migliori: Anne perché è la più grande e Rose perché è la più piccola.” Mi riscossi dal mio torpore e, sollevata un po’ la gonna che mi arrivava alle caviglie, cominciai a correre verso la casa. Non appena varcai l’uscio dovetti immobilizzarmi un’altra volta: l’ingresso era dominato da una di quelle scalinate da sogno, con ringhiere in ferro battuto e gradini di marmo bianco, illuminato dalla luce che filtrava dalle enormi finestre. C’era un calore talmente rassicurante e gradevole che mi sbalordì. Sentii provenire dalla mia destra la voce di Rose. “Sono davvero impaziente di scegliere la mia stanza, ma non credo sarei riuscita a rimanere in piedi senza una tazza di tè. Il viaggio è stato davvero stancante, vero Anne?” Esultai silenziosamente. Le avrei giocate entrambe scegliendo la stanza più bella. Che bevessero pure il loro tè! Salii in fretta le scale e cominciai ad aprire ogni porta che mi capitò davanti, ma nessuna stanza mi sembrava adeguata, sebbene tutte fossero belle e mi ripromisi di studiarle con più calma successivamente. Giunsi così dinanzi l’ultima porta e il cuore cominciò a battere forte in petto. Sarebbe stata quella giusta, lo sentivo. La aprii con impazienza e sorrisi. Era una stanza molto grande, dalle pareti di un gradevole crema, dominata da un enorme armadio e un letto a baldacchino dalle tende dorate. Sulla scrivania era stata già disposta in una pila ordinata della carta bianca e un vaso di rose bianche dava profumo alla stanza. Alle spalle della scrivania vi era un’alta libreria. Mi avvicinai trepidante alle finestre e capii che sarebbe stata mia: potevo vedere il laghetto e il salice, il mio piccolo angolo di Paradiso. “Belinda, temevo che ti fossi persa in giardino!” Ero stata talmente persa nella contemplazione che non mi ero resa conto dell’ingresso del resto della mia famiglia. Mio padre mi fissava con i suoi occhi azzurri fra il divertito e il nervoso. Mia madre, al suo braccio, spostò gli occhi su di lui, mentre le mie sorelle si guardavano intorno. “Questa stanza è…” “Mia.” Terminai per Anne. A giudicare dalla sua espressione non sarebbe stata più sbalordita nemmeno se le avessi chiesto scusa per tutte le frecciatine lanciatele da me contro da quando avevo imparato a parlare. “Non puoi averla tu!” Sbottò arrabbiata, portandosi davanti a me. “Perché no? L’ho vista prima io.” Si voltò, sperando di trovare l’appoggio dei miei genitori, ma quelli si limitarono a sorridere. “Anne, ha ragione lei.” Fece mio padre. La mia adorata sorella mi lanciò un’occhiata carica d’odio e uscì a passo di marcia dalla mia stanza- quanto era gradevole pensarlo- seguita a ruota da Rose, la quale non aveva avuto il coraggio di mettersi a litigare anche lei quando la camera era contesa fra le sue sorelle maggiori. “Belinda, adesso porteranno qui le tue cose.” Mi informò mia madre. “Affrettati nel sistemarle e preparati: abbiamo organizzato una piccola festa questa sera, per fare conoscenza con i vicini.” “Va bene, mamma.” Lei mi sorrise. “E’ la stanza più bella, approposito.” Mi lasciarono con un sorriso sulle labbra, ad ammirare quella che sarebbe stata la stanza ove avrei trascorso l’Estate del 1937, ma che, ancora più importante, sarebbe stata la camera più importante nei miei ricordi.
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